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Licenziamento per troppe assenze: la sentenza del Tribunale di Grosseto

Licenziamento per troppe assenze: la sentenza del Tribunale di Grosseto. La recente sentenza del Tribunale di Grosseto conferma la legittimità del licenziamento intimato a un dipendente che, durante i lunghi

Licenziamento per troppe assenze: la sentenza del Tribunale di Grosseto.


La recente sentenza del Tribunale di Grosseto conferma la legittimità del licenziamento intimato a un dipendente che, durante i lunghi periodi di malattia, svolgeva attività agonistica partecipando a numerose gare di mountain bike.

La ricostruzione processuale degli accadimenti


Il caso in esame riguarda il licenziamento del responsabile della qualità di un’azienda, avvenuto dopo 24 anni di servizio. La decisione è giunta a seguito di molteplici contestazioni disciplinari, che hanno portato l’azienda a procedere con l’allontanamento definitivo del dipendente.

Nel corso degli anni, l’uomo si era spesso assentato dal luogo di lavoro, giustificando le sue assenze con motivi di salute, più o meno gravi. Tuttavia, il dipendente ha deciso di impugnare il licenziamento, avanzando richiesta di reintegro e un risarcimento danni per circa 50.000 euro, sostenendo di essere stato vittima di mobbing.

Di contro, i giudici del Tribunale di Grosseto hanno rigettato integralmente le richieste del lavoratore, condannandolo anche al pagamento delle spese legali. Nel corso del procedimento, il tribunale ha ricostruito in dettaglio la sequenza degli eventi che hanno portato al licenziamento.

In particolare, è emerso che, durante i lunghi periodi di malattia dichiarati, il lavoratore partecipava regolarmente a gare agonistiche di mountain bike, ottenendo ottimi risultati. I giudici hanno evidenziato una lista dettagliata delle competizioni ufficiali, con relative date e piazzamenti, dimostrando così un comportamento incompatibile con lo stato di malattia dichiarato dallo stesso dipendente.

Con tali premesse, il giudice del Tribunale di Grosseto, è arrivato alla conclusione che “il licenziamento è stato legittimamente intimato”.

La violazione del dovere di correttezza e buona fede: Sentenza n.7425 della Corte di Cassazione


Il concetto di fedeltà nel rapporto di lavoro, negli anni, è stato oggetto di grande attenzione e rivalutazione da parte della giurisprudenza. La stessa ha ampliato il significato di tale principio in seguito alla naturale evoluzione del contesto lavorativo moderno. In supporto a ciò, la Suprema Corte, si è pronunciata con la sentenza n. 7425 del 26 Marzo 2018. Il caso di specie fa riferimento al conducente di linea, il quale aveva svolto presso altro vettore l’attività lavorativa (anche se a titolo gratuito) durante il periodo di concedo parentale. In sintesi il licenziamento, confermato nei primi due gradi di giudizio, scaturisce dalla presunta violazione da parte dello stesso dei doveri di correttezza e buona fede sanciti dall’articolo 2105 del Codice Civile. Risulta utile ricordare che l’art. 2105 c.c. vieta al lavoratore di trattare affari in concorrenza con il proprio datore di lavoro e di divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa o di farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. La Suprema Corte, nel confermare quanto stabilito dalla Corte territoriale, ha chiarito che la violazione si concreta nella prestazione di guida svolta a favore di altro vettore ed in concomitanza con la fruizione del congedo parentale per cui risultano inconferenti le circostanze invocate dal ricorrente a propria difesa, quali la gratuità della prestazione e l’assenza di rapporti giuridici tra il lavoratore stesso e la ditta terza.

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